1. L’arrivederci

Il portone era proprio imponente. Tutte le volte che Alvio Zagreg vi giungeva esitava a bussare. Estasiato, ne ammirava le proporzioni, la fattura e gli intarsi lavorati con inusitata maestria e precisione. Il pesante anello ovale di bronzo ancorato ad una ridente testa di cherubino, garantiva un suono secco e grave, un annuncio mai tradito.

“Buongiorno, la Badessa la sta aspettando nella sala della biblioteca”, mormorava il guardiano dopo aver richiuso l’uscio; Alvio Zagreg nel congedarsi, imboccò il chiostro principale irrorato dalla lieve luce del mattino.

Tra una boccata e l’altra della sua inseparabile pipa, pensava che l’architettura del chiostro fosse accogliente, sapientemente governata da misure e rapporti ben disegnati, sperimentati in opera e diligentemente realizzati con mano sicura e perizia.

Il rigore dei basamenti, la snellezza dei fusti dei pilastri, la semplicità dei capitelli e la leggerezza degli sporti delle modanate trabeazioni inscenavano un gioco di luci e di ombre che riportavano alla mente di Alvio Zagreg l’incantata atmosfera di un piccolo cimitero vicino ad Asolo, luogo a lui molto caro.

La Badessa Chiàfran, che tutti pronunciavano “Sciàfran” per le sue misteriose origini francesi, lo aspettava impaziente seduta al tavolo centrale della biblioteca di fronte ai rotoli di disegni.

Avvolta nella sua tunica grigio celeste nascondeva i lunghi capelli sotto un velo color carta da zucchero ben tirato e ordinato.

La lunga tunica attillata mostrava le sinuosità di un corpo asciutto e snello, un tempo atletico in grado di restituirle un’andatura aggraziata e una postura composta, quasi solenne, che incuteva timoroso rispetto.

Il viso aveva lineamenti dolci e precisi con gli zigomi attenti a contenere le fossette che i sorrisi misurati, ravvivavano.

Come la notte si fa giorno quando la luna è piena così i suoi occhi cilestrini erano capaci di una tale luminosità che imponeva di volgere lo sguardo altrove.

Alvio Zagreg non capiva perché alla locanda si mormorasse animosamente dei gelidi occhi della Badessa; anche se a ripensarci bene, ricordava nei suoi primi incontri quanto lo avessero colpito quelli occhi dagli sguardi imperturbabili e vivi.

Nella modestia della sua semplicità andava convincendosi di essere forse lui la fonte di tanta luminosità trascurando, probabilmente, quanto alla Badessa stesse a cuore l’impegnativo restauro intrapreso per la piccola chiesa del Convento.

 

La Chiesa era un edificio regolare dalla pianta rettangolare con la facciata esposta ad oriente in abbraccio alla stradina adornata di cipressi che conduceva al centro abitato.

Il fronte meridionale guardava il paesaggio disegnato da ampi pascoli sorvegliati dalle colline. Il lato settentrionale e l’abside occidentale erano fusi con le fabbriche del Convento; risultato dell’intervento napoleonico intento a trasformare gli edifici in guarnigione per le milizie dirette verso la Russia.

L’abside era ormai una torre in rovina, destinata per lungo tempo alle funzioni militari e l’averla riportata alle originarie funzioni, riaprendo le tamponature interne e salvaguardando la mano napoleonica, si rivelò una felice soluzione proposta da Alvio Zagreg.

Il rinvenimento delle tre cappelle semi circolari lungo il muro meridionale e il loro ripristino, consentiva di restituire all’intero edificio una forte aggettivazione formale dal tono spiccatamente moderno capace però di dialogare con le trame della storia che ordivano il convento.

L’uso previsto nel progetto della pietra locale tagliata a conci regolari, del legno di rovere, del vetro piombato e del cotto, sorprendeva le stupite maestranze acciecate dagli imperanti prodotti edilizi e dalle innovative tecniche, incredule della semplicità delle soluzioni proposte e della forza espressiva dei materiali tradizionali.

(Alvio Zagreg bussa alla porta della biblioteca, si toglie la pipa dalla bocca e chiede il permesso di entrare)

Badessa: buongiorno, si accomodi pure, la ringrazio di avermi raggiunta prima della partenza;

Alvio Zagreg: buongiorno a lei Badessa, ci tenevo incontrarla per sapere cosa pensasse dei disegni e dei conteggi che le ho fatto pervenire;

Badessa (trattenendo una smorfia di compiacimento): ho esaminato con cura i suoi elaborati e non le nascondo la sorpresa nel rinvenire il restauro della martoriata abside ed il recupero delle cappelle meridionali, tornate maestose e possenti come nei racconti della mia fanciullezza;

A.Z.: non volevo elevare alcun edificio nuovo, tutto è presente. Si trattava solo di conoscere e comprendere il luogo limitandosi a mettere insieme, a giustapporre. Mi interessava immaginare concretamente nuovi significati per ridefinire le gerarchie e le relazioni tra gli oggetti, convinto che la destinazione d’uso dovesse ritornare ad essere quella originaria, di culto!

Badessa (nel frattempo aveva srotolato i disegni degli schizzi e delle viste interne): ha ragione! Questa luce, che rintroduce nello spazio dell’aula di preghiera, mi sorprende e commuove. Una luce naturale che filtra dalle piccole finestre incastrate tra le pieghe delle risorte cappelle; una luce viva che cambia col mutar del sole e delle stagioni;

A.Z.: l’architettura non è solo misura, proporzioni, disegno e materiali. È anche una danza di volumi accarezzati dal sole;

Badessa (con mesta espressione si alza dirigendosi verso le finestre aperte sul paesaggio): la luce è verità!

A.Z.: l’architettura è Amore! Non vive nella menzogna! Può camminare lungo i fili della notte, sopportare a stento la clandestinità, aggirare le regole, trasgredire i divieti, promettere invano, fingere cattedrali. Ma solo sotto la luce del sole diventa sostanza; seppure sostanza di cose sperate!

Badessa (voltandosi di scatto con viva espressione e avvicinandosi ai disegni): Si! Questo il senso dei suoi disegni che ho compreso poco per volta.

Gli occhi radiosi fissavano il canuto Alvio Zagreg che immobile e sicuro di sé non riusciva a distoglierle lo sguardo come attratto da una forza sincera ed intima.

Con allenata disinvoltura e riordinando i disegni srotolati, la Badessa riprendeva il tono ufficiale della conversazione.

Badessa: in sua assenza provvederò alle forniture da lei predisposte affinché possa trovare tutto il necessario per iniziare il cantiere al suo ritorno da Lisbona.

 

La sorprendente facilità della Badessa di sviare i discorsi metteva Alvio Zagreg nelle fastidiose condizioni di sentirsi fuori posto.

Gli sarebbe piaciuto raccontarle del progetto, di quanto la sua vicina presenza lo avesse spinto ad una frenetica dedizione per approfondire le ricerche storiche, organizzare le battute dei rilievi, disegnare più volte i vorticosi pensieri che scaturivano dai numerosi sopralluoghi.

Avrebbe voluto confidare l’entusiasmo da lei alimentato per ridar vita al moribondo edificio.

(Riordinando gli ultimi disegni srotolati sul tavolo e porgendo l’elegante mano ad Alvio Zagreg)

Badessa: grazie caro Alvio, le auguro un soggiorno di pace per riposare le fatiche sin qui sopportate. Attendo il suo ritorno.

Alvio Zagreg era rimasto sempre in piedi con la pipa in mano e la solita postura sbilenca che gli ormai dieci lustri vissuti con tenacia

avevano radicato. Nel vedere la mano tesa della Badessa la afferrò con emozione e levità mentre gli sguardi dei due si incontravano avvolti in un silenzio di quiete.

Gli occhi raggianti della Badessa intonavano uno sguardo fiero, intenso, a tratti melanconico di cicatrici passate, forse ancora aperte, che spingevano l’animo di lei a sensazioni di fuga e di avvicinamento. Alvio Zagreg portò la sua mano alla bocca, stringendola con delicatezza, per un bacio soave di altri tempi.

A.Z.: l’Architettura riguarda tutti gli esseri viventi ed esprime le relazioni con i luoghi che abitano. Solo stando dentro all’architettura la puoi cogliere e vivere.

È una pratica artistica che richiede tempo, un continuo cominciare da capo, foglio su foglio, linea dopo linea, fino a quando un segno ne richiama altri dando corpo e forma al pensiero. Un processo di lenta costruzione che risponde ai ritmi della vita e non del mercato o della tecnica, fuggendo le passionali improvvisazioni delle mode. E come la vita anche l’architettura è gravida di incertezze, di illusioni, di debolezze, di entusiasmi ed innamoramenti. Non è la paura di un nuovo inizio quella che proviamo di fronte alle inaspettate occasioni della vita ma il timore per la consapevolezza del tempo che passa e che segna con villana crudezza le stagioni di una vita. Proprio quel tempo così prezioso che inseguiamo per ingabbiarlo negli spazi della nostra architettura, ci ricorda di vivere il presente con leggerezza ed intensità secondo le proprie forze e possibilità. La tecnica e l’economia gonfiano, l’Amore edifica!

La Badessa nel frattempo, restava immobile, composta e ritta di fronte ad Alvio Zagreg, fissandolo con intenso desiderio di ascoltarlo. Ad un tratto, un sorriso spontaneo ed improvviso sollecitava gli zigomi che a stento contenevano l’insorgere di quelle fossette così preziose su quel suo viso di arabesche armonie.

Badessa: Alvio, faccia buon viaggio! La aspetto con gioia e un pizzico d’ansia per dare inizio al nostro cantiere. Confido che affronteremo nella giusta misura ogni incertezza e difficoltà.

(Alvio Zagreg lasciandole la mano dopo averla baciata una seconda volta e dirigendosi verso l’uscita)

A.Z.: arrivederci Badessa!

Aprì la porta della biblioteca e uscì. Allontanandosi lungo il chiostro principale intuiva che era giunto mezzogiorno notando le nitide ombre del colonnato proiettate sul muro del refettorio. Pensava a come le ombre sapessero modulare la profondità degli spazi e il movimento degli elementi decorativi; l’ombra, riparo e inquietudine nel medesimo istante! Un mistero oscuro senza fine bello nutrito dalla luce, luce che è verità!

 

  1. Assenza

 

La stanza perfettamente quadrata supportava una volta a crociera le cui costolature erano marcate da una elegante modanatura in cotto che terminava contro una cornice perimetrale di mattoni lasciati a faccia vista.

I muri vestivano un intonaco assai fine sporcato da una velatura cerulea che si fondeva col colore del cielo in prossimità della finestra a tutta altezza. La finestra, esibendo vetri multicolori sostenuti da listelli lignei disposti secondo regolari geometrie, fendeva lo spesso muro nella mezzeria lasciando il posto ad una seduta lapidea sulla quale, spesso, la Badessa osservava lo sconfinato paesaggio.

Il letto, il comò e la poltrona erano percorsi da intarsi continui ormai consunti, che tradivano provenienze di ambienti poco consoni all’atmosfera del Convento. L’armadio in castagno parzialmente incastonato nel muro, l’inginocchiatoio e la consolle col piccolo specchio ed un minuto scrittoio, completavano il semplice arredo del decoroso rifugio.

La consolle, appoggiata sul muro di fianco alla finestra, ospitava la rituale cosmesi della Badessa limitata alla cura della lunga e folta chioma nascosta sotto il velo color carta da zucchero.

Una frizzante mattina di settembre, intenta ad arrotolare la balza del velo fissando il paesaggio dalla finestra, la Badessa pensava a quanto il cantiere della chiesetta le avesse ritornato una serenità interiore.

Immediato l’accostamento ad Alvio Zagreg: non certo uomo di adonica bellezza ma dotato di un singolare fascino, capace di parole leggere e acute riflessioni. Al ricordarle, la Badessa provava una tale freschezza che le amarezze del passato diventavano un ricordo infelice ma compiuto. Il tempo non ha durata, rifletteva, il passato è oggi come oggi è il futuro; l’eterno ritorno altro non è che un inno inconscio al presente che sempre a noi si manifesta. Viverlo si deve, con le sue complessità e contraddizioni, al massimo delle nostre forze!

L’architettura è amore! Mai la Badessa avrebbe pensato che mattoni, muri, colonne, timpani e tetti se organizzati in costruzioni di senso, sapessero caratterizzare luoghi per l’anima delle persone e come queste ultime di conseguenza, li rendessero vivi ed eterni. Un sorriso incontenibile le segnava il viso, compiaciuta di ricordare una nota letta su un disegno di Alvio Zagreg.

L’indomani mattina Teogenio Eleonor, il capo mastro, aveva appuntamento con la Badessa per la verifica delle forniture e l’allestimento del cantiere.

Un casco di folti capelli biondi confondeva l’età dell’uomo marcata invece, da due occhi grigio verdi profondi, sorretti da spigolose rughe. Era sempre elegante in cantiere, seppure indossasse un vestito scuro di velluto molto rammendato e un inseparabile panciotto a doppio petto con quattro tasche dalle quali fuoriuscivano strumenti di misura e un lapis con la punta assai curata.

La Badessa era legata a Teogenio da un profondo legame di amicizia, quasi fraterno, pur non conoscendolo da molto tempo. Probabilmente, la travagliata vita del capo cantiere, solo a lei conosciuta, consentiva loro un sincero confronto e un valido supporto per affrontare la quotidianità. Sembrava che Teogenio avesse colto l’intima dolcezza e la sensibilità profonda della Badessa, seppur celata dall’austerità della tunica e da quel suo modo di fare energico e sicuro.

Teogenio era un veneziano, di famiglia benestante; aveva sposato un’artista assai famosa dalla quale ebbe una bellissima figlia a cui era molto devoto. Per motivi oscuri Teogenio aveva abbandonato Venezia e per alcuni anni viaggiato l’Europa in lungo e in largo, studiando e rilevando le rovine dell’architettura romana. Si narrava infatti, che avesse una profonda conoscenza dei sistemi costruttivi antichi applicandoli con lucidità e moderna perizia sulle fabbriche che soprintendeva.

Alla locanda, è possibile che Alvio Zagreg lo avesse sentito dissertare sull’architettura ignorando chi fosse, traendone soddisfazione e stimolo per l’elaborazione del progetto della chiesetta.

Teogenio sosteneva che i tempi sbandati del momento dove l’apparire conta più dell’essere, lo slogan è preferito al discorso, l’improvvisazione al pensiero ragionato, erano maturi per ripensare l’architettura. Da intendere come “res aedificata” vincolata al disegno, ai processi costruttivi e al tempo necessario per compierli.

Parlare di architettura per lui, significava affrontare temi concreti, “de re” come sapientemente dicevano gli antichi. Il come era già scritto! Bastava studiare il passato, non con la velleità degli eruditi e sedentari salotti veneziani, ma con la voracità della conoscenza e la bramosia della sperimentazione. Il passato è prezioso, amava ripetere Teogenio, solo se ci aiuta a qualificare il presente! Diffidate, ammoniva, delle prospettive riccamente colorate e quasi realistiche che offrono le Compagnie a caccia di remunerativi affari. Cercate il segno, soffermatevi a leggere i disegni che se ben argomentati sono a tutti comprensibili.

Queste e altre qualità avevano condotto Teogenio nelle grazie della Badessa che teneva molto in considerazione i suoi pensieri.

Non ci sorprenderà pertanto, l’immensa felicità della Badessa nell’ascoltare i soppesati elogi di lui sull’impostazione e le soluzioni adottate nel progetto della chiesetta.

L’assenza di Alvio Zagreg si faceva sempre più sentire e portava la Badessa a desiderarne il ritorno, incuriosita anche del suo viaggio a Lisbona dopo circa trent’anni.

 

Continua…